Dal 2015 sono stati identificati circa 230 casi di contenzioso climatico contro aziende, di cui 3 nel 2023, 146 cause sono state portate nel corso degli anni davanti a tribunali e corti internazionali, 9 di queste nel 2023, anno che, inoltre, ha visto successi notevoli nei cosiddetti casi di “government framework”, che mettono in discussione l’attuazione delle risposte di politica climatica di un governo.
Questi alcuni dei dati emersi dal rapporto annuale “Global trends in climate change litigation: 2024 snapshot”, redatto dal Grantham research institute, che fornisce un’analisi numerica e qualitativa del fenomeno, identificando i principali attori e le tendenze emergenti nel campo.
I temi principali del contenzioso climatico sono:
– uso di argomenti legati ai diritti umani nelle cause sul clima
– cause climatiche nei confronti dei governi per l’inazione (“goverment framework”)
– contenzioso climatico contro le aziende, in particolare per le seguenti ragioni:
- “climate-washing” (47 nuovi contenziosi nel 2023)
- “chi inquina paga”
- “corporate framework”
- “rischio di transizione” (sulla gestione dei rischi climatici da parte dei dirigenti aziendali).
L’osservatorio italiano sul contenzioso climatico segnala, oltre ad alcune procedure di conciliazione presso il Punto di Contatto Nazionale (PCN), due interessanti casi, Giudizio Universale, la prima controversia per inazione climatica su suolo italiano, risalente al 2021, quando più di 200 ricorrenti (compreso il climatologo Luca Mercalli) e 24 associazioni impegnati per la giustizia ambientale e nella difesa dei diritti, tra cui A sud onlus, hanno deciso di citare in giudizio lo Stato italiano per inadempienza climatica, e Giusta Causa, avviata da Recommon, Greenpeace e 12 tra cittadine e cittadini, che hanno deciso di portare Eni in tribunale, insieme al Ministero dell’economia e delle finanze ed a Cassa depositi e prestiti, che esercitano “un’influenza dominante” nell’azienda.
Attualmente, su entrambi i fronti gli sforzi sono concentrati sull’ottenere una pronuncia che confermi che il giudice italiano può decidere su queste tematiche, per contrastare l’inspiegabile sentenza di primo grado del Tribunale di Roma, resa in “Giudizio Universale”, in cui si afferma, in sostanza, che in Italia non esistono tribunali in grado di decidere su questo tipo di domanda.
Un volta superata la pronuncia romana, fortemente disallineata rispetto a nome e principi di rango superiore (Costituzione, UE, CEDU), anche nel nostro Paese si aprirà la strada ad iniziative legali dello stesso genere.
Una buona notizia per chi subisce suo malgrado le conseguenze del cambiamento climatico, che potrà agire a sua tutela, meno buona per le aziende che hanno contribuito a generarlo e per lo Stato, i quali dovranno risponderne anche in Tribunale.
Alla luce di ciò e delle nuove normative scaturenti dal Green Deal Europeo, è quindi fondamentale valutare per tempo il rischio legale e finanziario legato al cambiamento climatico per la tua organizzazione, anche se non profit.
Parliamone insieme per trovare soluzioni fatte su misura per te.